Argille Scagliose del territorio di Monghidoro
Scoperte e battezzate col nome Argille Scagliose (AS) nel 1840 da Giovanni Giuseppe Bianconi, bolognese, cartografate e interpretate poi da Giuseppe Scarabelli, imolese, sono costituite in ordine di messa in posto da rocce magmatiche vulcaniche di fondo oceanico, le ofioliti (peridotiti serpentinizzate, gabbri iniettati, basalti a cuscini e brecce associate, che formano la triade di Steinman1), seguite da diaspri, radiolariti, calcari a Calpionella, argilliti nere a palombini (calcari chiari), argilliti varicolori, areniti calcaree, di età giurassico–cretacea. La componente argillitica prevale ed è caratterizzata da una tessitura a piccole scaglie, o mandorle lucenti, per effetto di sforzi di taglio pervasivi che fanno delle argille scagliose un vero corpo tettonizzato (detto tettosoma). Molte catene montuose del mondo sono caratterizzate da rocce con questa struttura scaglioso-argillosa, in particolare quelle che affiorano nella costiera californiana di San Francisco, che hanno la stessa età e ambiente genetico di quelle appenniniche. I fossili sono molto rari, se si escludono i microscopici radiolari e le Calpionelle (Tintinnidi). Fra i macrofossili si ricordano alcuni molluschi (Inoceramus e qualche ammonite frammentaria o in controimpronta) e tracce fossili (fucoidi) di organismi mobili sul fondo (Capellini 1881a). Conferma questa affermazione il rinvenimento, nel 2015, da parte di Ultimo Bazzani, di un guscio perfettamente conservato di ammonite nell’affioramento di Argille Scagliose del fondovalle a fianco della parete Est di Montovolo, un cefalopode spiralato del genere Pulchellia (Sarti 2014), noto fino ad ora solo nel Cretaceo inferiore (Barremiano). Probabilmente una nuova specie, fu segnalato come Anahoplites nel 2011, alla prima costituzione della Sala della Terra di Castiglione de Pepoli, per essere una vera rarità fossile nelle Argille Scagliose. Maggiori informazioni su questo argomento seguendo il link per la pagina dedicata.
Gli ammassi ofiolitici delle Argille Scagliose, a partire dalla II Guerra Mondiale, sono stati usati, e talora demoliti, come cave di prestito di materiali inerti per l’edilizia e le strade. Le porzioni solo argillose delle Argille Varicolori sono molto ricercate per l’industria ceramica (semigrès, monocottura). Tutte le Argille Scagliose sono sede privilegiata di frane ricorrenti, anche estese.
Oggi sappiamo che le Argille Scagliose sono formate da relitti rocciosi di uno scomparso oceano, chiamato Ligure-Piemontese, per indicarne l’antica posizione. Queste rocce, negli ultimi cento milioni di anni, sono state lentamente spinte, fatte scorrere e rotolare, in condizioni subacquee, dai movimenti della crosta terrestre e dalla gravità, fino a raggiungere e sollevarsi nella posizione odierna sul bordo padano-adriatico dell’Appennino. In questo movimento sono state caoticizzate, rimescolate e hanno inglobato i blocchi di rocce che hanno incontrato lungo il loro percorso, anche di enormi dimensioni, come nel caso delle Septarie, sui calanchi nelle colline verso Ozzano. Questa complessa storia geologica ha fatto sì che le Argille Scagliose vengano a costituire una straordinaria collezione naturale di svariati tipi di rocce (sedimentarie, metamorfiche, vulcaniche, minerali e fossili).
Sul territorio appaiono come argille nerastre con macchie e vene rosse, punteggiate da blocchi di roccia di varie dimensioni e tipologie, che affiorano nei calanchi del bolognese e nella quasi totalità del versante sinistro dell’Idice nel SIC La Martina – Monte Gurlano.
Secondo Bombicci (Siena, 11 luglio 1833 – Bologna, 17 maggio 1903, mineralogista e museologo italiano) le Argille Scagliose sono la formazione antica che più di ogni altra ebbe parte nelle vicende geologiche delle aree subappennine e che costituisce nel Bolognese il substrato dei depositi terziari e la sede di fenomeni sismici. Rocce ampiamente studiate nel tempo da molti autori, appaiono sui nostri terreni come chiazze irregolari e frastagliatissime di affioramento, intromissione o di trabocco, disordinatamente sparse in ciascuna delle zone subcollinari. Da queste chiazze affiorano altre rocce come gli ammassi gessosi allineati da Est a Ovest nella zona delle colline e soprattutto la moltitudine di guglie e di mammelloni di rocce ofiolitiche prodottesi per via di sedimenti e per progressivi metamorfismi. Eufotidi, iperiti, oligoclasiti, dioriti pirosseniti, diabase, gabbro-rosso, sporgenti sporadicamente sparsi dalle argille scagliose od affioranti a poca distanza come le oficalci, le lenti ofiolitiche, vasti e rozzi mantelli di gabbri rossi, di diabasi variolitiche, ftaniti, scisti argillosi, siliciferi e galestrini. Bombicci le cataloga come rocce sedimentarie, associando loro gli attributi di Argille salifere e Argille petrolifere. Molte furono le disquisizioni sulla natura di tali argille e sulla datazione precisa circa la loro età (da cretacee superiori, eoceniche inferiori, ma per l’evidente loro intromissione attraverso formazioni mioceniche, per il legame topografico sussistente fra esse e le rocce ofiolitiche di emersione più recente, sono ascritte in parte al miocene). Si sono formate come vasto deposito di mare profondo, sedimentario e stratificato sul finire del cretaceo superiore e con i primi depositi dell’eocene. La struttura scagliosa, ossia la laminazione, la lisciatura e la disgregabilità in squame levigate e lucenti di tali argille dipende da azioni essenzialmente meccaniche. Scarsissimi sono i fossili nelle Argille scagliose, salvo le fucoidi nelle varietà marnose, compatte, galestrine, che fanno passaggio al vero calcare alberese a fucoidi. La completa assenza di resti di animali in queste argille e la loro natura essenzialmente argillosa, plastica, ferrifera, senza sabbia quarzosa e con pochissimo calcare nelle varietà non traboccate e non rimestate con più recenti depositi, ne fanno una formazione caratteristica del paesaggio bolognese. In generale si presentano fatte di pasta finissima, quasi omogenea, ed assai plastica, se non disseccata; sono fissili irregolarmente, ma nel disgregarsi si dividono e suddividono in scaglie sempre più piccole ed esili, lucentissime sulle superficie, ondulate, increspate, rigonfie, a margini sottili; il tatto è liscio come nella steatite. Vi si notano più frequenti le tinte verdi delle serpentine, rossicce dei gabbri rossi, violette e grigie lavagnine degli scisti galestrini; a volte appaiono variegate di bruno, di giallo o di nero.
Gli ammassi esterni delle argille scagliose sono spesso instabili, vi si notano lenti movimenti di discesa sui pendii che esse ricoprono, movimenti per qualche riguardo paragonabili a quelli che caratterizzano i ghiacciai alpini. Ne derivano striature e lisciature di rocce, trasporti e radunamenti di massi, di ciottoli, di detriti; inoltre possono favorire frane improvvise, talvolta grandiose, disastrosissime. Se nel loro terreno si scavano delle gallerie, occorrono robuste armature per impedire che le espansioni delle masse, spinte dalle pressioni interne nelle vacuità prodottesi e non più controbilanciate da corrispettive resistenze, le ostruiscano, come accadde per la Miniera di Bisano. La lisciatura delle scaglie può attribuirsi a forti strisciamenti obliqui, a violente intromissioni fra le masse spostate di altre rocce in contatto e quindi ad una specie di laminazione, ma debbono avere contribuito alla loro lucentezza e fissilità le filtrazioni di acque, sotto forti pressioni, rendendole specchianti, intrise di particolari filoni metalliferi. Nelle argille scagliose sono frequenti le disseminazioni di piriti; rare quelle dei solfuri di rame, che si presentano come accumulamenti di grumi argillosi, di poltiglie grigio-cupe e nerastre, disseccate alla superficie, scoscese e intagliate stranamente da una infinità di calanchi, a partire dai grandi alvei di torrente fino ai solchi degli innumerevoli rigagnoli di ciascuna sporgenza. Qua e là sono chiazzate di tinte diverse, tutte fosche, cupe e sgradite. Dappertutto sono sassose, ingombre dai rottami di antiche e demolite formazioni. Gli arnioni multiformi di variati minerali, dalla pirite che si stempera in efflorescenze saline, alla barite solfata, sferoidale, grigiastra, pesante, scaturiscono dalle loro lavine; in nessun luogo lasciano presumere la possibilità di una non precaria vegetazione. Le loro aree superficiali, sebbene frastagliatissime, irregolari, tendono ad allinearsi lungo i fianchi a Nord dell’Appennino e lungo la serie delle colline verso la pianura. Spesso sono associate con i gabbri-rossi, le ofioliti, le oficalci e verso Sud Est, quasi a contatto con le masse gessose. Il calcare alberese, o calcare a fucoidi, rappresenta il deposito tranquillo e lungo di particelle calcaree ed argillose in un mare profondo. È un miscuglio intimo di calcare e di argilla, in variabilissime proporzioni, con piccole e pur variabili quantità di ossidi di ferro e di silice. Può essere imbevuto di idrocarburi ed accidentalmente misto a diverse sostanze minerali, donde numerosissime varietà.
Si disse «calcare a fucoidi», perché contiene le impronte di alghe o fuchi di mare; questo carattere si riscontra anche nell’alberese dell’Appennino e di altre regioni. Talvolta rompendone una lastra, si possono vedere le fucoidi sorgere dall’uno all’altro piano della stratificazione; ciò che prova essere stata diluitissima la fanghiglia calcareo- argillosa che seppelliva lentamente, senza schiacciarle o distruggerle, quelle delicatissime fronde vegetali. È probabile che i primi strati dell’alberese antico si siano deposti prima che si fosse esaurita la lunga fase della sedimentazione delle argille, che poi divennero scagliose. Nelle sue più recenti stratificazioni, si vedono invece talora, alternanti, letti sabbiosi di arenaria, per lo più fogliettati o scistosi. Il più intenso sconvolgimento che si osserva nei pezzi o rottami di questo calcare, sempre entro le argille scagliose, avvenne nella vicinanza delle emersioni di rocce ofioliti che, dove risulta sparpagliato, striato, lisciato, intonacato di patine scagliose quanto lo sarebbero delle pietre immerse in una densa melma vorticosamente agitata da un vigoroso ribollimento. Qualunque sia l’età relativa del calcare alberese, questa roccia ci offre molteplici varietà, delle quali alcune sono cosi compatte da rassomigliare alle pietre litografiche; altre sono brecciate; a Bombiana si trova una breccia di frammenti grigi con rilegature rosse, argilloidi; altre varietà ridotte in blocchi sparsi nelle argille scagliose sono a straterelli ineguali frammentati, coperti da patine ocracee di color giallo vivo. I massi di alberese ben di sovente sono colorati in verde, in rosso-violaceo per il contatto con le argille; le loro fratture sono generalmente risaldate da vene di spato calcare. In certe località, come presso Ca’ di Cardella e sopra Porretta Vecchia, le vene spatiche si dilatano in geodi, in filoncelli con cavità intermedie, se ne traggono stupendi esemplari di Calcite purissima, bianca, in romboedri primitivi di rara bellezza, talvolta con facce basali estese e specchianti. Le varietà di alberese più ricche di argilla forniscono ottime pietre da calci idrauliche, da cemento idraulico, come alla Castellina, al Molino del Pallone, a Valdoppio, a Monte Cavaloro. Quelle reticolate di spato calcare del rio Fonti (Porretta), danno buon materiale da calce bianca. In Toscana questo calcare si chiama altresì «pietra colombina», per le tinte grigio-chiare e color tortora che abitualmente presenta. Il nome di alberese si connette con quello di una località della maremma toscana, dove la roccia è assai sviluppata e utilizzata per impiego edilizio. Nei contatti dei banchi d’alberese con altre rocce alternanti, non è raro di vedere quel calcare far passaggio alle marne chiare a fucoidi, come a Trasasso sotto Monte Venere, ovvero al macigno scistoide a grana fina, come presso Porretta. I blocchi di calcare alberese che derivano da strati rimossi dalle argille scagliose, o insieme a queste, finissimamente screpolati con lievi spostamenti delle parti rimaste contigue che poi si risaldarono per adesione e per le infiltrazioni prolungate di acque ferruginose, producono le pietre ruiniformi, o paesine, che abbondano, nel nostro territorio (Savigno, Bargi, Corvella, etc.). Sono peraltro meno belle e perciò trascurate in confronto di quelle di Pontassieve e di Ponte a Rimaggio.
Scisti galestrini a fucoidi. Ftaniti galestrine.
Come in Toscana, dove tali scisti si vedono assai più estesamente coordinati alle formazioni superiori del cretaceo ed inferiori dell’eocene, presentano il carattere strutturale della facile divisione poliedrica, per cui i pezzi staccati dalle loro stratificazioni si disgregano e sminuzzano in tritumi angolosi, talvolta appiattiti a guisa di lastrine irregolari.
Anche le argille scagliose si dividono in sempre più piccoli frantumi, ma questi, nelle varietà che sostennero più direttamente gli effetti di laminazione e le irrigazioni lisciatrici di acque che sotto fortissime pressioni vi si iniettavano, sono curvilinei, rigonfiati, lisci, lucenti. Gli scisti galestrini e le analoghe argille silicatizzate, penetrate in generale da ossidi di ferro e di manganese, sostennero meno intense le azioni meccaniche; invece, subirono una più copiosa infiltrazione silicatizzatrice e lo screpolamento per ritiro di masse e per flessione di strati. È molto probabile che stratigraficamente e cronologicamente le due formazioni si corrispondano. Può darsi cioè che una stessa formazione argillosa, sedimentaria, occupante una vasta regione sottomarina, fattasi campo di azioni idrotermali mineralizzatrici e di intromissioni di materiali erompenti da maggiori profondità sia stata inegualmente interessata da tali azioni, con prevalenza di azioni chimiche in certe aree e di modificazioni strutturali in altre dovute a spostamenti meccanici. Nel caso di cui si tratta, i sedimenti argillosi sarebbero divenuti scagliosi in vasta scala nella regione ora adriatica e galestrini, invece nella regione che adesso è tirrenica. Gli scisti galestrini passano, come le argille scagliose a forme più argilloidi, sempre mantenendo l’attitudine alla frattura poliedrica o poligonale. Non di rado, fra le stesse argille scagliose, si incontrano enormi rottami di strati argillosi più compatti delle argille incassanti, i quali per la friabilità in verghette poliedriche riescono identici alle varietà tipiche degli scisti galestrini medesimi. Il colore è mutabile in questa roccia, come nelle argille scagliose. Più frequente è quel rosso-bruno, tendente al violaceo, che si vede abitualmente nelle ftaniti diasproidi, in certi diaspri e nelle argille scagliose più arrossate. Grandi ammassi di tali scisti sono di colore nerastro o giallo-bruno con larghe zone grigie o con fasce rosse, verdi, sfumate o variegate; riproducono insomma le stesse tinte che derivano da quelle azioni idrotermali e meccaniche che concorsero a trasformare in argille scagliose, i sedimenti argillosi di alto fondo di mare.
Le varietà marnose, meno silicatizzate, con patine nere di manganite e più affini al calcare alberese, contengono spesse volte, come sotto Pian di Casale, impronte di fucoidi. Le località che presentano in posto con i loro più spiccati caratteri questi scisti galestrini si inoltrano verso l’asse dell’Appennino, dove possono vedersi ripetutamente alternanti col calcare alberese. Il Monte Spigolino, sopra lo Scaffaiolo, ne è formato in parte. Da Granaglione al Monte dei Boschi, essi fiancheggiano alcuni tratti della strada che conduce in Toscana.
Una raccolta di immagini relativa a rocce e tracce fossili del territorio dell’Alpe di Monghidoro può essere scaricata dalla nostra sezione download.
Riferimenti
1 “Trinità di Steinmann” così chiamata dal nome dello studioso che per primo sottolineò nel 1927 la peculiarità delle associazioni ofiolitiche alpine, per la presenza di sedimenti di mare profondo (diaspri, calcari pelagici ecc.), rocce di origine vulcanica con particolari caratteri strutturali (basalti in pillows) e rocce ultramafiche.
Testo tratto dalla: GUIDA GEOLOGICA ALL’ALTO APPENNINO BOLOGNESE – bozza 2015 di Gian Battista Vai, Paolo Ferrieri, Fabio Gamberini (collaborazione di Alessandro Ceregato, Stefano Falcone, Federico Fanti, Daniele Scarponi, Carlo Sarti, Barbara Sorce, Marco Taviani)
Un’appropriata descrizione delle Argille Scagliose è fornita dal Museo Scarabelli di Imola, correlata da un ‘esposizione di campioni vari. Informazioni dettagliate al sito web:
Testo tratto da: LUIGI BOMBICCI -1882- Montagne e vallate del territorio di Bologna: cenni sulla oro-idrografia, geologia, litologia e mineralogia dell’Appennino bolognese e sue dipendenze, con una carta geologica e una oro-idrografica – Club Alpino Italiano.